Azione e distacco

Nella Bhagavad Gita, scritta in India più di duemila anni fa leggiamo: “Quindi, senza attaccamento, esegui sempre le azioni che dovrebbero essere fatte; perché, eseguendo le azioni senza attaccamento, l’uomo raggiunge il Supremo.” (III, 18)
Meister Eckhart, un domenicano tedesco scriveva agli inizi del XIV secolo: “Il giusto non cerca niente con le sue opere. Infatti chi cerca qualcosa con le proprie opere, o agisce per un perché, è un servo e un mercenario. Se vuoi dunque essere conformato e trasformato nella giustizia, non cercare niente con le tue opere e non aver di mira alcun perché, né nel tempo né nell’eternità, né in ricompensa né in beatitudine, né in questo né in quello, perché tali opere sono davvero tutte morte. Sì, anche se prendi Dio come fine, tutte le opere che puoi compiere per quel fine sono morte, e così corrompi le opere buone.” (Tratto dal sermone Il giusto vivrà in eterno e la sua ricompensa è presso Dio. Dai Sermoni Tedeschi).
Mi impressiona il fatto che tradizioni e sensibilità così lontane nel tempo e nello spazio giungano ad affermare lo stesso concetto, e non posso non pensare che esiste una profonda verità nell’uomo prima delle culture, delle religioni, della parola stessa, che ogni tanto nella storia si manifesta, come uno sprazzo di luce che fende le nubi.

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