Può un’onda conoscere il mare?


È strano, ma dopo aver cercato per tanti anni la conoscenza oggettiva nelle scienze esatte, sono arrivato alla conclusione che la più fondamentale delle conoscenze è l’autoconoscenza: accedere al mistero della natura umana. Tutto parte di lì; le stesse scienze della natura non sono altro che il rapporto dell’uomo con il cosmo in cui è immerso. In questo percorso il passo più difficile è superare il livello psicologico, ingombro di relitti che facilmente vengono scambiati per degli assoluti, ma il vero Assoluto è oltre.
Nessuno è avvantaggiato in questa ricerca, poiché non si tratta di partire da una base di precedenti acquisizioni – come nella ordinaria conoscenza – ma anzi di smantellare ogni ostacolo culturale e psicologico che possa intralciare la caduta nelle profondità interiori. Il più geniale ricercatore sarà allora il più spregiudicato, quello che riesce a riconoscere la contingenza e l’inautenticità anche di quegli aspetti che a tutti gli altri sembrano essenziali e costitutivi.
È la consapevolezza il più grande dei misteri; la sua origine, la sua natura, il suo rapporto con il corpo... tutto ciò è la sfida estrema per la mente: in una parola, vedere sé stessa. La consapevolezza colora di significati un mondo altrimenti popolato di fantasmi grigi ed evanescenti, addirittura potrebbe essere la fonte stessa dell’esistenza.
Non vi è altro modo per indagare il mistero della consapevolezza che la meditazione. Qualsiasi accesso discorsivo e razionale al problema è infatti destinato al fallimento, dato che crea necessariamente una separazione tra osservatore e fenomeno, dissolvendo così la soggettività che è il fenomeno stesso.
L’uomo – come qualsiasi altro ente – è solo una manifestazione parziale del divenire cosmico unitario. Noi non siamo altro che processi, dinamiche all’interno del Tutto, senza una vera e propria individualità (che non sia quella soggettiva assegnata da noi a noi stessi), e non possiamo dirci “ente” o “individuo” più di quanto possa farlo un’onda indipendentemente dall’oceano sulla cui superficie appare e si dissolve nell’arco di un respiro di vento. L’idea di stabilità e permanenza che associamo al corpo è pura illusione, ma il sé – la complessa costruzione psicologica con cui erroneamente identifichiamo noi stessi – è scosso e turbato da questa intuizione, mentre molto più in profondità, alla radice della mente, l’”io-sono” forse l’ha sempre saputo.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

poi dopo tutto questo argomentare...il silenzio rimane il crocevia fra il tempo e l'eternità...il silenzio è il luogo dove il cerchio si chiude :)
Anto

alessandro cordelli ha detto...

...grazie per il tuo commento

Anonimo ha detto...

Carissimo professore, trovo come lei che la più grande ricerca sia quella interiore, spopolata da costrutti culturali e in senso generale contingenti. L'essere umano- onda, parte del tutto in un oceano di Assoluto, può essere intuito senza essere destabilizzante, ma consolatorio. Lo scoglio-contingenza, costrutto sociale o culturale, "quello che si dovrebbe fare", lascia un senso di vuoto, di incompiutezza di incompletezza e direi "peccato", perchè spezza il rapporto con quello che lei chiama "io sono", di conseguenza con l'Assoluto. Ci parla, non lo ascoltiamo, siamo bombardati da tutto il resto. C'è rimedio al vuoto che deriva da questo errore? Si può ricucire questo strappo, se avviene, secondo lei?
Leila

alessandro cordelli ha detto...

...è interessante questa tua interpretazione del peccato come strappo tra l'onda e l'oceano; interessante e convincente (non è forse questo il significato del racconto biblico della perdita dell'Eden?). Riguardo alla possibilità di superare la dimensione della confusione e della contraddizione, penso che siano due le direttive: una nella storia personale di ogni individuo basata sulla costante ricerca interiore di verità e consapevolezza; l'altra nella dimensione sociale che porti in tempi storici l'umanità a un salto evolutivo della stessa portata di quello che - migliaia di anni fa - segnò il passaggio dalla struttura in piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori a quella della divisione del lavoro nelle prime città.

A.C.