Gli atei mi stanno simpatici...


Un buon cattolico non dovrebbe essere condiscendente con il “nemico”, né guardarlo con simpatia. Ma io non sono un buon cattolico. E questo è almeno un punto da cui iniziare. È vero che gli atei non sono né teneri né gradevoli con i credenti; nella migliore delle ipotesi ci trattano da ingenui, quando non addirittura da furfanti. D’altra parte anche i credenti, quando ci si mettono, sanno essere davvero sgradevoli. Tutto questo però riguarda i modi, la sociologia, determinati fatti storici; ma se grattiamo queste incrostazioni culturali e politiche, cosa rimane di profondo, di serio, di fondamentale?
È un dato di fatto che l’ateismo moderno ha perso molta della sua forza teoretica con la fine del determinismo scientifico, e coloro i quali rigettano oggi ogni forma di spiritualità con ottocentesca indignazione auspicando i trionfi della ragione con il candore di Comte, fanno invero un po’ di tenerezza. Tuttavia c’è una classe di argomentazioni ateiste che meritano di essere prese in seria considerazione; si tratta della provocazione dei pastafariani o, in maniera più rigorosa, del paradosso del giardiniere invisibile (o della teiera rosa, o altre ancora...). Costoro sostengono che Dio è un’ipotesi vuota, che non essendovi alcun appiglio di oggettività per la presenza del divino nel mondo qualsiasi pretesa in tal senso ha il carattere dell’arbitrarietà. E se allora nessuno può portare prove, per quale motivo preferire una religione storica – il Cristianesimo ad esempio, o l’Islam – a un sistema di credenze proposto da un improbabile profeta, nel quale la divinità si è manifestata come un piatto di spaghetti venuto dallo spazio? Il ragionamento non fa una grinza. La vita di Gesù, i miracoli dei santi, le visioni di Maometto... fatti raccontati, avvenuti lontano nel tempo, perché credervi? Opinione, solo opinione. E se l’opinione già è distante dalla certezza, figuriamoci quanto più lo è dalla verità (che è l’unico fine a cui dovrebbe tendere un credente).
Io penso che chiunque riflette su un qualsiasi tema in buona fede merita di essere ascoltato perché ha qualcosa di interessante da dire. E dunque, cosa può avere di interessante un pastafariano da dire a me cattolico? Ecco il punto: i laici non gradiscono incursioni nell’unica forma di conoscenza che considerano valida. Trovano ad esempio intollerabile che si neghino evidenze oggettive della paleontologia per suffragare interpretazioni letterali del libro della Genesi; e anch’io. Con i loro argomenti sguaiati e un po’ approssimativi, dicono a noi credenti tuttavia una cosa importantissima: un Dio che “mette i piedi nel piatto”, tratta la creazione come un gioco di ruolo e l’uomo come una marionetta non solo è antipatico, ma non è neppure verosimile. Non è una lezione da poco. Le nostre chiese rigurgitano di preghiere in cui si chiede, si chiede di tutto: la salute, che gli affari vadano bene, la buona sorte per noi e la cattiva per quelli che consideriamo avversari... statue della Madonna che piangono sangue sotto elezioni, ex-voto, reliquie, crocifissi che diventano minacciose armi da brandire contro “quegli altri” (per non parlare di quelli che le armi le brandiscono davvero e nel nome di Dio fanno scorrere fiumi di sangue).
La fede non si impone, la spiritualità è una scoperta che richiede un duro cammino nel corso del quale l’unico riferimento deve essere la verità, eliminando impietosamente ogni pregiudizio, vagliando ogni ipotesi in maniera più oggettiva di quanto non facciano gli scienziati con le loro, senza rispetto per nessuna autorità o maestro. La posta in gioco è troppo grande; se quello che cerco è il senso stesso della mia vita non posso accontentarmi dell’inganno di una consolante certezza. Ecco perché riesco ad apprezzare chi vuole mostrarmi l’insensatezza delle mie prospettive esistenziali, e volentieri accetto di essere messo in discussione. In fondo gli atei dicono a noi credenti come non dovrebbe essere Dio: un improbabile supereroe capriccioso ed esuberante molto più simile agli dei olimpici che alla Sorgente dell’Essere; il dio nel quale non credono i pastafariani è lo stesso dio nel quale neppure io credo. E dunque sarà l’ateismo l’unico esito che logicamente può avere una ricerca spirituale seria e libera da pregiudizi e condizionamenti? Non necessariamente. Di fatto, i moderni laici sono affetti da un clericalismo che limita ogni possibilità di sviluppo costruttivo alle loro argomentazioni, che pure nella parte distruttiva sono in parte condivisibili. Vi sono dei veri e propri dogmi che costituiscono limiti insuperabili sui quali si infrange ogni possibilità di sviluppi non banali del discorso sulla spiritualità. Ad esempio vi è una concezione obsoleta della scienza, che non tiene conto dei limiti dei sistemi formali, dell’indeterminismo e della complessità. Oppure la tendenza a spostare invariabilmente il discorso dagli aspetti teoretici a quelli contingenti, tipo le malefatte della chiesa cattolica nel corso dei secoli, o le contraddizioni cui si va incontro se si prende alla lettera il racconto biblico della creazione, piuttosto che confrontarsi con san Tommaso o sant’Agostino. Ma anche quando il discorso viene portato avanti nella maniera più neutrale e corretta possibile, c’è un limite fondamentale nelle argomentazioni ateiste, e precisamente il fatto di ridurre l’intera possibilità di conoscenza ad un’unica forma. Se infatti postuliamo che l’unica forma accettabile di indagine sulla realtà è quella con cui si studiano i fenomeni materiali, ecco che abbiamo implicitamente ammesso che niente esiste al di fuori di tale ambito, pertanto qualsiasi ragionamento su un livello trascendente portato avanti in questo modo non può avere alcun significato.
Siamo d’accordo che la realtà di Dio non può essere inclusa in quella dell’universo, ma questo non significa che Dio non esiste, piuttosto che la sua realtà è più ampia e include eventualmente quella dell’universo. Conoscere significa conformare il proprio intelletto alla realtà, e il crearsi modelli non è l’unico modo in cui ciò può avvenire. Dopo tutto non è forse vero che ogni giorno esercitiamo forme di conoscenza (intuitiva, emotiva,...) diverse da quella razionale? E volendo restare nello stretto ambito della conoscenza razionale, quale potrà mai essere la risposta alla domanda sulla causa dell’esistenza dell’universo? Se infatti la realtà materiale esiste necessariamente, qual è il motivo di tale necessità? E se invece l’universo è pura contingenza, da dove ha avuto origine un tale atto arbitrario? Di fronte a questi interrogativi che segnano i limiti costitutivi di una indagine di tipo scientifico, il “cercatore di verità” intuisce un abisso dal quale lo spazio e il tempo emergono come piccolo scoglio su un oceano sconfinato e accetta di mettersi in gioco su strade che lo coinvolgono in prima persona, consapevole che il prezzo da pagare è il fatto di non poter più essere un osservatore separato dal resto della realtà, e che per ogni aspetto del tutto che riuscirà ad acquisire qualcosa di sé dovrà andare perduto.

12 commenti:

Unknown ha detto...

spesso è più facile per un ateo intraprendere con serietà e costanza un cammino spirituale, essendo libero dai dogmi e dalle credenze pappagallesche del lato esteriore delle varie religioni.
Nel mio caso, sono partito da un "so di non sapere", quindi per me Dio poteva esistere come poteva non esistere, non mi era dato di saperlo con certezza.
E' stato l'essere aperto a ogni eventualità, che mi ha poi fatto trovare la mia strada e che ora mi fa dire che, per me, Dio esiste.
Certo si fa facilmente confusione tra l'ateo inteso come chi crede che Dio non esiste, e l'ateo che non crede in Dio perchè non ne ha mai avuto esperienza, ma è pronto a cambiare opinione alla luce di nuove esperienze.

alessandro cordelli ha detto...

...sì, credo proprio che sia questo l'atteggiamento giusto in un cammino spirituale. Grazie per il tuo intervento.
A.C.

Anonimo ha detto...

Professore devo veramente farle i miei complimenti per questo intervento...se fossi credente credo che lo sarei in questa maniera...comunque vorrei rispondere in maniera "simpaticamente provocatoria" a quanto lei dice in questa frase:

<>

ha perfettamente ragione...ma allora perchè pregare un Dio che forse nemmeno esiste, perchè venerarlo se poi esso effettivamente non scende in Terra ad aiutare i fedeli nè gli invia la manna dal cielo? Credere quindi a Dio o ad Apollo ha quindi la stessa veridicità, sebbene il primo nellanostracultura sia più credibile...però se si crede all'uno o ad un altro è come scegliere i numeri del Superenalotto...se si muore e si è pregato il Dio giusto allora ci va bene...ma se si è sbagliato? Per questo non riesco ad essere un vero credente, perchè semplicemente non riesco a convincermi che ci sia veramente o il Dio cristiano, o il dio musulmano, o Shiva, o Mishra o chicchessia...soprattutto sapendo come i testi sacri e le argomentazioni su ogni divinità oggi come ieri sono sempre satte manipolati dai potenti (basti pensare che noi preghiamo soprattutto in base a 4 dei tantissimi vangeli scritti, molti altri furono banditi e bruciati, per esempio)

Lorenzo Bianchi

Anonimo ha detto...

^ la frase mancante tra <> era

Siamo d’accordo che la realtà di Dio non può essere inclusa in quella dell’universo, ma questo non significa che Dio non esiste,

Unknown ha detto...

Buonasera. Vivo in un mondo di cattolici, e spesso mi accorgo di quanto questi buoni cattolici (buoni nel vero senso della parola, senza ironie) hanno posizioni che non hanno niente a che fare o che sono addirittura in contraddizione con quelle di appartiene alle cosiddette "gerarchie" cattoliche e che ho avuto modo di conoscere. Parlo di coloro che poi prendono la parola a livello locale ed internazionale e si fanno garanti della figura pubblica di tutti gli altri cattolici. Un esempio, il tema del dialogo, da lei citato (una suora, che a suo tempo fece catechismo a me e numerosi altri bambini, che cancellò le parole da me scritte nella preghiera dei fedeli perchè erano troppo fantasiose. Di fantasioso poi, non ho mai capito cosa ci fosse.) Un caso particolare, è vero, ma che rappresenta l'atteggiamento, verso chi la pensa diversamente, di coloro che dicono di rappresentare tutti voi cattolici.
Da brava atea, chiedo sempre ai bravi cattolici: va bene, credete in Dio, siete cristiani...ma perchè cattolici? Mi viene risposto, spesso: per l'appartenenza alla comunità. E io rimango confusa, quando mi accorgo che molte delle cose che pensano e che sono condivisibili, a proposito di Dio e di Gesù, non sono affatto condivise, nè tantomeno rese pubbliche o discusse all'interno di questa fantomatica "comunità" (per non parlare delle gerarchie)
Forse questo non ha molto a che fare con la sua riflessione, nella quale mi riconosco (non sono certo un'arida positivista) e non mi riconosco (sono atea, ma ammiro profondamente chi riesce ad aver fede)ma è un tema su cui mi arrovello, e su cui avrei voglia di sentir qualcosa. Ora che mi sono affacciata, credo che leggerò ancora il suo blog.
Teresa Del Bianco

alessandro cordelli ha detto...

Grazie a Lorenzo e Teresa per il loro commenti. Una piccolo spunto di riflessione: gli aspetti contingenti non dovrebbero prendere il sopravvento quando il cammino è autenticamente spirituale. Intravedere appena la luce perfetta che brilla nel fondo dell'anima o intuire l'oceano nel quale galleggia il tempo è qualcosa che ti lascia senza fiato; i riti, i dogmi, le forme... tutto sbiadisce e diviene qualcosa di confuso e lontano, sullo sfondo. Sostenuto da una simile armonia, posso accettare con benevolenza anche le contraddizioni del mio essere cattolico, ben sapendo che non è quella la parte principale (come un bellissimo quadro con una cornice di plastica)...
Volevo poi evidenziare una cosa nel commento di Lorenzo: tu dici (giustamente) che Dio non manda la manna né scende dal cielo ad aiutare i credenti, e ti domandi allora perché - eventualmente - credere; ma allora anche questo tipo particolarissimo di ricerca si inserisce nel gioco dei fini e delle azioni, o non piuttosto riguarda la sfera più ampia che contiene questo gioco e gli conferisce un senso?

A.C.

Anonimo ha detto...

credo che di solito si preghi un dio affinchè egli ci aiuti, si cerca di provarne l'esistenza per sapere che esiste. Se io prego dicendo "dio misericordioso" "padre nostro" "tu sia benedetto" ecc ecc credo che il Dio non solo abbia fatto ma faccia anche qualcosa per me. E' anche vero che il Dio ha dato degli insegnamenti, ma le preghiere non credo possano essere considerate semplici ringraziamenti verso qualcuno che ti ha indicato la via...

Lorenzo Bianchi

Unknown ha detto...

Volevo rispondere a Lorenzo:

"Per questo non riesco ad essere un vero credente, perchè semplicemente non riesco a convincermi che ci sia veramente o il Dio cristiano, o il dio musulmano, o Shiva, o Mishra o chicchessia..."

forse il Divino è una realtà unica, ma ogni popolo, epoca e individuo l'hanno (se ci son riusciti) percepito a modo loro, gli hanno dato un certo nome e certe connotazioni a seconda del loro bagaglio. Senz'altro hanno proiettato qualcosa di sé verso l'esterno, ma, si presume, in certi casi è scaturito comunque da qualcosa di interno.
E' come dire: io guardo il tramonto, e ci scrivo una poesia. Un indiano di 3000 anni fa ha guardato il tramonto, e ci ha scritto una poesia.
Le nostre poesie sono completamente diverse, suscitano emozioni diverse, ma sempre del tramonto si sta parlando!
E se ci fai caso, si poetizza per lo più sull'amore, perchè è chiaramente la cosa più difficile da definire in termini specifici e oggettivi. E guarda caso, dicono, questo fantomatico Dio è amore. Rimane impossibile usare mezzi esteriori per comunicare il contatto ricevuto con il divino in maniera universale.
Ogni Maestro, Messia, Buddha etc, ha usato il suo linguaggio, le metafore che aveva a portata di mano, il contesto sociale in cui si trovava.
L'errore è pretendere di mantenere le condizioni di millenni fa, oggi. E di non cercare un contatto personale, attuale, presente e interiore con qualcosa che E' del tutto interiore.

alessandro cordelli ha detto...

Lorenzo: cos'altro aggiungere alla bella risposta di Dass? Forse solo una piccola riflessione: nella tua rappresentazione Dio dovrebbe fare qualcosa in risposta alle preghiere, e non lo accetti. E fai bene. Perché magari la fondamentale differenza tra Dio e le invenzioni degli uomini alle quali essi hanno voluto dare il nome "dio" è che queste fanno, mentre quello è. Non è importante che tu ti consideri credente o non credente, l'importante è che tu non smetta mai di cercare...

Anonimo ha detto...

posso rispondere dicendo solo che all'inizio della bellissima risposta di Dass c'è un "forse" al quale al momento non si sa dare una risposta certa e al quale non mi sento di darne una :)

Unknown ha detto...

Per me non è un forse, è una certezza.
Se tu volessi avere certezze dovresti impegnarti in tal senso, come per qualsiasi tipo di studio. Per diversi anni, molte ore al giorno. Ma poi avresti certezze.
Ci vuole costanza e impegno, se uno vuole lo fa, sennò pazienza :-)

Anonimo ha detto...

anche a me gli atei stanno simpatici ma spesso non avviene altrettanto per i credenti...purtroppo