Il fine/la fine della ricerca religiosa


Già da tempo sto realizzando una cosa da sempre saputa ma forse mai profondamente intuita, e cioè che “non si può far finta di meditare”. Qualsiasi altra attività umana è in qualche modo sempre svincolata dal resto del contesto, per cui io posso sprofondare integralmente in essa come in un ruolo, vivendo gli altri aspetti della vita in maniera in larga parte indipendente. Con la meditazione no. Non posso distaccarmi dagli aspetti contingenti nei momenti in cui sono seduto con gli occhi chiusi davanti a un bastoncino di incenso o al Crocifisso, e poi vivere le altre ore del giorno pesantemente coinvolto, ricercando sicurezza e permanenza, lottando per affermare l’ego o consumandomi in passioni di avversione e di desiderio.
Tutto ciò implica che una meditazione fasulla è solo una farsa e ce ne rendiamo conto immediatamente, ma anche che quando – a seguito di un lungo lavoro di introspezione e ricerca spirituale – si fa un piccolo passo sulla strada della consapevolezza, non solo gli spazi di silenzio durante la pratica aumentano in lunghezza e profondità, ma anche l’attitudine verso le mille sollecitazioni della vita quotidiana è più chiara, distaccata, serena. Se dunque realizziamo che in qualche modo un avanzamento spirituale comporta una avvicinamento globale alla radice della persona e alla sua verità, possiamo intravedere per un attimo il traguardo. Ciò non significa varcare quel traguardo (dal quale chi scrive è ancora lontanissimo), ma intuire quale potrebbero essere lo stato interiore e l’attitudine verso la vita di un spirito finalmente liberato.
Dunque, uno spirito illuminato ha raggiunto la radice del proprio essere e riconosce che tutti gli aspetti materiali sono contingenti e transitori, compreso il corpo per cui, vivendo già nell’assoluto della propria essenza, è totalmente indifferente alla vita e alla morte, sapendo che con la morte l’unica cosa che viene meno è la possibilità di interagire con questa regione dell’Essere caratterizzata dalle categorie della materialità (spazio, tempo, energia, …). Si ha così una sorprendente constatazione: il compimento della religione è il superamento della religione. Per colui che si porta abbastanza avanti sulla via della ricerca spirituale vengono a cadere uno dopo l’altro tutti i motivi che spingono l’uomo verso la religione: nessun bisogno psicologico perché l’essenza è oltre il piano psicologico e l’inconscio, nessuna considerazione etica perché sono le sovrastrutture ad alienare l’uomo e a spingerlo lontano dal comportamento perfetto secondo la sua natura essenziale, nessun ausilio sulla via della contemplazione perché chi dimora nella luce è già al cospetto dell’Assoluto.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ammiro il suo pensiero a riguardo e lo condivido. Prima di leggerlo e di leggere la sua conclusione avevo timore di un mio scivolamento nella contingenza. In effetti la consapevolezza della sua transitorietà, della transitorietà della materia, possono in certi casi far scivolare alcuni nella fame della sensazione, mentre lei, professore, riesce addirittura a "superare" la religione cogliendo l'essenza, la luce. Non sono una filosofa, e spero di non offenderla con questi miei commenti, ma la ringrazio.

alessandro cordelli ha detto...

...sono io che ti ringrazio. In effetti temevo che queste mie conclusioni fossero troppo estreme e potessero urtare qualche sensibilità, ma mi fa piacere che siano state capite. Grazie ancora.
A.C.

Anonimo ha detto...

Scriva ancora professore!

Anonimo ha detto...

personalmente penso che la religione sia utile non come fine ma come mezzo per cui, certo quando ho raggiunto livelli profondi di vita spirituale sono in uno stadio in cui la religione in un certo senso può essere superata...e va bene, tuttavia io considero la religione importante in quanto percorso che aiuta, guida e sostiene l'uomo che si dirige verso la meta:Dio; è il cibo che ci fa crescere, è la lampada che illumina il nostro cammino è la strada, il sentiero che ci conduce sulle vette...come posso raggiungere tutto ciò immediatamente, da solo, senza crescita...per qualcuno forse sarà anche così ma per molti compresa io che oggi mi reputo credente: come avrei potuto amare e conoscere dio senza l'intermediazione di tante persone che mi hanno parlato di lui, di tanti luoghi che mi hanno avvicinato a lui, di tanti scritti che me lo hanno fatto conoscere...tutto ciò io reputo religione e in questo credo
antonella

alessandro cordelli ha detto...

È vero quello che tu dici, e io non voglio dipingere la religione come qualche cosa di superfluo. È una strada, anzi la strada. Ma vi è il rischio di starci bene in quella casa, troppo bene, e accontentarsi. Come il più grande rischio per l'ateo è adagiarsi nel luoghi comuni del laicismo e soffocare la voce del proprio spirito, così per il credente vi è il rischio di convincersi che l'orizzonte della spiritualità finisca nei fumi di incenso e le dolci armonie dellamusica sacra...
A.C.