Ordine e caos


Vi sono due tipi di ordine nei rapporti tra gli esseri umani. Il primo sorge dall’armonia, il secondo dalla violenza. L’uomo non può vivere senza relazione, regolarità, un sistema strutturato di possibilità; ma questi possono realizzarsi in modi diametralmente opposti. Illusoriamente, singoli o gruppi ritengono che la perfezione delle loro potenzialità migliori passi per la strada faticosa dell’autoaffermazione sul piano materiale; a tal fine hanno bisogno di elaborare sistemi di relazioni in cui altri uomini cooperano ai loro scopi. Un tale ordine non sorge da solo, esiste nella testa di chi lo concepisce ma non nelle possibilità più dirette dell’Essere. Per questo deve essere forzato, imposto, è frutto di violenza, come accade ogni volta che l’uomo antepone il suo pensiero alla nuda realtà. La violenza è sicuramente male, ma in questo senso possiamo dire anche che il male è violenza.
Un altro ordine sorge invece dall’Essere, e il pensiero non lo precede, ma lo scopre con meraviglia sempre nuova. È l’ordine che ha portato alla formazione delle galassie e delle prime forme di vita, che genera gratuitamente informazione e significato. E come potrà l’uomo accedere a questo ordine superiore che lo precede, gli sopravvive e lo trascende? Solo superando la dimensione del pensiero. Nessuna novità potrà infatti mai venire dal pensiero, la cui principale facoltà è la memoria. Memoria è fissazione e rielaborazione di ciò che è già stato; anche quando immaginiamo il futuro assembliamo dentro di noi pezzi di passato come tessere di mosaico, per costruire strutture inedite con mattoni vecchi. Per questo motivo una mente attiva, che conosce il pensiero come sua unica modalità, non potrà mai essere realmente creativa. Potrà sì essere abile a individuare relazioni tra fatti e strutture che nessuno aveva mai visto prima, ma questo pur lodevole esercizio non è creazione. La dimensione creativa è quella del più profondo silenzio e della pura passività.
Da una parte l’arrogante pretesa di imporre una visione rattrappita e parziale a una realtà che comunque sfugge ai nostri tentativi di comprensione e di dominio; dall’altra la libertà che nasce dal lasciare liberi, l’autorità che nasce dall’ascoltare, la capacità di influire sul mondo che nasce dall’inazione. È il caos che si dissolve in un ordine non forzato, ma intuito prima e accettato poi, armonia che trascende le coppie bello/brutto e buono/cattivo, conservando solo la superiore categoria della verità.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ammiro la sua visione. Purtoppo come dice lei gli esseri umani dispongono del solo pensiero per interpretare il reale, del solo pensiero per pensare, del solo pensiero per credere di creare. Affermazioni come le sue in un primo momento potrebbero gettare nello smarrimento. Ma l'accettazione della verità è anche sguardo sul caos ed accettazione-rivelazione dell'opposto. E della libertà, del non giudizio. Spero di aver capito quello che lei vuole dire,professore. Le sue sono affermazioni forti, ma secondo me molto autentiche. Grazie.

alessandro cordelli ha detto...

Sì, l'accetatzione della verità è anche sguardo sul caos (ma vi è poi realmente caos, o solo la nostra visione limitata?) e immergersi nel tutto senza le lenti deformanti del giudizio e delle aspettative. Grazie del tuo intervento.
A.C.

Anonimo ha detto...

...sarebbe bellissimo arrivare a queste conclusioni professore senza sofferenza personale. Per pura "illuminazione", disvelamento. Nella realtà mi sembra che sia un percorso disseminato di cadute e mi chiedo come ci si possa arrivare con maggiore serenità. Pur riconoscendo la verità di queste affermazioni dobbiamo lottare con il nostro contingente. Staccarci dal pensiero è anche un lutto?
Leila

alessandro cordelli ha detto...

Cara Leila, capisco cosa vuoi dire. In effetti una situazione utopica (come potrebbe ad esempio essere la vita monastica) in cui non vi sono sollecitazioni, dolori, preoccupazioni, è molto distante dalle esperienze quotidiane della maggior parte di noi. Eppure non vi è niente di magico in quel percorso che semplicisticamente chiamiamo di illuminazione; intendo dire che è tutto molto normale, con piccoli e grandi drammi, vette e baratri, momenti in cui si cade e in cui ci si rialza. Ma allora la differenza dov'è? È nella prospettiva, nell'impegno faticoso e costante per una visione della vita che riteniamo ricca di senso. In effetti, a ben pensarci, è vero che a volte la sofferenza ci viene addosso non voluta e non compresa, ma è altrettanto vero che buona parte delle nostre sofferenze ce le infliggiamo noi stessi, quando ci creiamo un'idea di quello che dovrebbe essere il mondo o la nostra vita e ci ribelliamo alla realtà perché è diversa da quell'idea. Già riuscire a vivere serenamente nel qui-e-ora, a diradare le nebbie dell'incosapevolezza, a sentirci a casa nell'universo, sarebbe una bella conquista. Cominciare a risolvere il conflitto dentro noi stessi è un buon punto di partenza per sperare di risolvere un giorno quello tra noi e il mondo...

Anonimo ha detto...

... non saprei dire niente altro se non grazie. Leila