Il dilemma mondo-coscienza


Alla luce dei risultati della fisica moderna appare ragionevole che la ricerca di base debba prendere in considerazione anche gli aspetti ontologici, per evitare di rimanere bloccata nel vicolo cieco di modelli che sempre meno descrivono aspetti accessibili e verificabili della realtà e sempre più assumono il carattere di mero esercizio matematico. La fisica classica è fondata su un realismo “forte”, in base a cui le cose esistono al di fuori e indipendentemente dal soggetto e sono proprio come vengono conosciute e descritte dall'indagine scientifica. La scienza ci permette cioè di accedere alla realtà “così come essa è”. Ma con la nascita della meccanica quantistica appare evidente che la realtà non è deterministica, e se il determinismo cade, anche la posizione del realismo si fa assai critica. Se infatti è in seguito alle misure che i parametri delle particelle acquistano valori ben definiti, le strade che si aprono sono almeno due: da una parte un idealismo radicale secondo cui è l'intervento del soggetto a costituire la realtà, dall'altra un empirismo non meno estremo che nega l’esistenza degli oggetti non osservati. In entrambi i casi l'usuale concetto di materia viene fortemente messo in crisi. Se infatti per l'idealista la materia è qualcosa di secondario e non autentico, le posizioni empiriste nella fisica moderna liquidano la questione ontologica come non pertinente. Ci domandiamo allora se, dovendo abbandonare il realismo forte della fisica classica, non rimanga altra scelta che un idealismo radicale in cui è solo l’azione del soggetto a costruire la realtà. Sarebbe davvero ironico se dopo due millenni e mezzo dalle prime indagini sull'arché il punto di arrivo fosse l'insussistenza di un sostrato reale e oggettivo. In effetti, tra le due posizioni estreme è possibile intravedere una terza via.
Quella che noi chiamiamo usualmente “realtà” è piuttosto una realtà empirica, e come tale è strettamente dipendente dalla presenza di un soggetto cosciente che assegna significati e costruisce descrizioni (potremmo dire, costruisce mondi). In altri termini, parlare di realtà senza un soggetto che stia di fronte ad essa e la osservi non ha senso. Indubbiamente questa è una affermazione assai forte ma è sostanziata dalle osservazioni a livello subatomico che sono state possibili, per la prima volta nella storia, solo da un secolo circa a questa parte. Né possiamo dire che la coscienza precede ontologicamente la realtà materiale, dato che ogni ipotesi dualistica di tipo cartesiano sembra ragionevolmente da escludersi, non essendovi alcun meccanismo plausibile per giustificare l’influenza della res cogitans sulla res extensa. Sono considerazioni di questo tipo che hanno condotto pensatori come Bernard D’Espagnat – importante fisico teorico che negli ultimi anni si è attivamente occupato di filosofia della scienza – a concepire un’ipotesi ontologica in base alla quale realtà empirica e coscienza sorgono contemporaneamente da un livello di esistenza più fondamentale, una sorta di “realtà velata” alla quale non possiamo accedere direttamente nella sua interezza, ma della quale possiamo avere intuizioni profonde a partire dai caratteri generali delle teorie scientifiche. Non si tratta del noumeno kantiano, inconoscibile per definizione, ma piuttosto di un livello su cui l'esperienza ha poca presa, ma che tuttavia riflette le proprie strutture nelle simmetrie delle nostre descrizioni del mondo. Ad esempio, nell'elettromagnetismo classico i campi sono descritti dalle equazioni di Maxwell; passando alla meccanica quantistica la descrizione in termini di campo elettromagnetico viene soppiantata da quella in termini di fotoni, tuttavia lo strumento matematico per calcolare l'onda quantistica associata al fotone è ancora il sistema delle quattro equazioni di Maxwell, alle quali viene data una interpretazione completamente diversa. Non è allora plausibile ritenere che le equazioni di Maxwell esprimano aspetti di quel livello fondamentale della realtà a cui non si dà accesso empirico, ma che con la sua struttura forma e sostiene il mondo dell'esperienza? La proposta di D’Espagnat si inserisce in una visione più ampia che affronta, scevra da preconcetti e postulati arbitrari, il problema della realtà e dei modelli che l’uomo costruisce, ovverosia la scienza. Pensare oggi a una realtà statica e immutabile, indipendente dal soggetto che, nell’atto della conoscenza, si limita a conformarsi passivamente ad essa, è sicuramente una visione semplicistica e obsoleta (e tuttavia acriticamente accettata da un gran numero di scienziati che nel loro lavoro quotidiano sono – più o meno consapevolmente – realisti, deterministi, riduzionisti). La complessità e la ricchezza del reale, potremmo dire la grandezza dell’universo, è cresciuta di pari passo con l’evoluzione culturale dell’uomo, proporzionalmente alla complessità e alla ricchezza semantica dei paradigmi di volta in volta adottati. Pensare in qualsiasi momento di questo cammino di essere giunti al punto finale della ricerca e di possedere una descrizione completa e veritiera del mondo è come minimo ingenuo. La più preziosa caratteristica umana – anzi, forse ciò che realmente caratterizza l’attributo “umano” – è la capacità di autotrascendenza, di vedere i limiti di ogni rappresentazione o Weltanschauung. È proprio facendo appello ad essa che possiamo riconoscere l’inesauribile ricchezza del reale e l’altrettanto illimitata possibilità di spingersi avanti nel cammino della conoscenza, in un dedalo di sentieri inesplorati. L’uomo di fronte al mondo è un sistema attivo, condizionato dalla propria contingenza di individuo (sensi, esperienza, valori e pregiudizi, capacità di ragionamento, intuizione...) e di specie (cultura, tecnologie, modelli antropologici di costruzione sociale, strutture di potere...). Ciò che è avvenuto nell’ultimo secolo è senza precedenti nella storia del pensiero: le neuroscienze ci svelano i meccanismi reconditi della sensibilità e delle capacità valutative in rapporto al contesto emotivo; la psicologia del profondo mostra la forza delle convinzioni e dei modelli di comportamento a cui la stessa razionalità è costretta a piegarsi; la logica matematica ha dimostrato i limiti della computabilità e l’essenziale incompletezza dei sistemi formali; gli esperimenti di tipo EPR hanno rivelato l’indeterminismo di fondo posto alla base stessa della realtà materiale. Questa cifra di mistero che caratterizza la realtà emerge in maniera evidente quando rivolgiamo la nostra attenzione a concetti fondamentali come quello di materia. La materia infatti (come lo spazio, o l’universo, o la coscienza) non la si può definire in maniera usuale aggiungendo una differenza specifica a un genere più ampio. Che cosa vi può essere infatti di più generale della materia stessa? Certo, si può sempre ipotizzare un livello ontologico inferiore, come ad esempio le stringhe per le particelle; ma in tal modo non si ha una effettiva definizione di “materia”, ma solo di “particella”. Infatti la risposta alla domanda: “di che cosa sono fatte le stringhe?” non può che indicare un altro e più fondamentale tipo di materia. Volendo interrompere il regresso all’infinito senza uscire dal paradigma riduzionista (quello del “questa cosa è fatta di...”) non vi è altra scelta che porre ad un certo livello della scala un a priori non ulteriormente giustificabile. Alternativamente, si deve assumere che la realtà materiale sia innestata in un livello ontologicamente più fondamentale, non descrivibile (almeno in maniera completa) da modelli scientifici, altrimenti sarebbe solo un altro tipo di materia. Se abbracciamo l’epistemologia positivista per cui ciò che non è catturabile da un modello razionale di fatto non esiste, saremo necessariamente portati alla posizione contraddittoria per cui la realtà letteralmente galleggia nel nulla. Ma se invece ammettiamo la possibilità di forme di conoscenza alternative a quella razionale e complementari ad essa – quali l’esperienza estetica, o quella mistica, o l’intuizione – ecco che si apre la possibilità di gettare lo sguardo oltre il muro del razionalmente conoscibile per cogliere importanti indizi del livello da cui emerge l’universo. Tale livello deve essere autenticamente reale (per evitare la contraddizione di un universo che sorge da un nulla privo di qualsiasi potenzialità e addirittura nemmeno pensabile); deve essere libero dalla necessità di obbedire a leggi logico-quantitative (altrimenti sarebbe solo un altro tipo di materia); infine, pur non essendo vincolato da leggi, deve comunque essere profondamente razionale (la nostra realtà rigidamente razionale non può infatti sorgere dall’irrazionalità e dal caos ma da qualcosa che sia al di sopra e più generale della razionalità stessa), deve esibire cioè una sorta di saggezza. Reale esistenza, libertà, saggezza. Non sono forse questi caratteri distintivi della vita spirituale dell’uomo? Fa molto pensare il fatto che il vertiginoso sprofondamento verso i livelli più fondamentali della realtà materiale ci conduca fino alla soglia di qualcosa che ha i caratteri di quanto più complesso, immateriale, evoluto esista nell’universo: il fenomeno umano.

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