Deus vult


I massacri che oggi come migliaia di anni fa vengono perpetrati in nome di Dio ci fanno riflettere sul fatto che quello del rapporto tra sacro e violenza è un tema affascinante e difficile, analizzabile sotto molteplici prospettive. Lasciando da parte il dato storico come pure le considerazioni in termini di struttura sociale e organizzazione economica, a me interessa qui soprattutto gettare uno sguardo ai moti profondi che si agitano nella psiche di ogni individuo.
L'analisi transazionale ci fa riconoscere come la personalità dell’individuo sia strutturata secondo tre poli fondamentali: una parte arcaica, sede delle energie primordiali più creative (ma anche più distruttive) che rispecchia le pulsioni e le paure di un bambino; un adulto che calcola e valuta le situazioni trovando la risposta razionalmente più adatta ad ogni problema; una voce che ripropone tutti i pregiudizi e i divieti ereditati dalla cultura e dalla famiglia, una sorta di genitore interiore sempre pronto a inibire iniziative troppo spensierate e imbarazzanti. Dove troviamo il sacro e la violenza in questa struttura dialettica di tre persone da cui emerge il sentire e l’azione di ognuno di noi? Sicuramente la parte adulta è quella che ha meno a che fare con la violenza (che per sua natura è molto poco razionale), e anche quando libera della rabbia si tratta sempre di una reazione non ingiustificata e commisurata alla situazione (ad esempio la necessità di abbandonare il prima possibile una situazione di pericolo). Anche il sacro sembra lontano dalla dimensione razionale dell’adulto; non dimentichiamo però tutta l’importantissima tradizione filosofica del medioevo cristiano in cui trova ampio spazio il problema dei praeambula fidei, cioè dei passi razionali che è lecito percorrere nella direzione dell’affermazione razionale dell’esistenza di Dio; non si tratta ovviamente di una razionalizzazione del mistero, ma di un sentiero che conduce la ragione fino alla soglia del mistero, laddove le facoltà che l’intelletto umano deve mettere in campo sono altre rispetto alla mera capacità deduttiva. Diverso è discorso per quanto riguarda il genitore interiore. La violenza genitoriale è una violenza già elaborata, è violenza sociale. È la violenza delle aule di tribunale e di quelle scolastiche; è il sergente maggiore che grida alla recluta, è il catechismo fatto di precetti e divieti, è l’indiscutibilità dell’amor di patria e del rispetto per la proprietà privata dei ricchi, dell’immutabilità dell’ordine sociale, quasi come qualcosa di... sacro. Ecco allora il cerchio che si chiude, e seguendo la traccia della violenza giungiamo a intravedere aspetti di sacralità. Ma quella del genitore è una sacralità che suscita diffidenza; è fatta soprattutto di riti, fumi di incenso, e ancora precetti, con il loro inevitabile alone di violenza. È una sacralità in cui la trascendenza è inquinata, in cui troppo spesso all’ineffabile viene dato un nome e delle forme, e la cosa peggiore è che gli aspetti contingenti così introdotti sono sempre funzionali alle ipocrite esigenze del potere.
Nel mondo misterioso e arcaico del bambino tutto cambia. Eros e Thanatos atterriscono per le immense energie di cui dispongono e che gli strati superiori della personalità faticano a contenere; sono forze che rifiutano di obbedire a qualsiasi logica e che affondano le radici nella parte più essenziale dell’essere umano. La violenza del bambino è una violenza cieca, imprevedibile, non normata da nessun codice, non inquadrata in nessun rituale, fondamentalmente edipica. Di fronte alla violenza genitoriale ci si rassegna, di fronte a quella del bambino si ha paura. Ma anche la dimensione del sacro è diversa. Non a caso l’ammonimento evangelico ci ricorda che solo ai bambini sarà concesso di entrare nel Regno. Se infatti il sacro del genitore incute timore e costringe ad abbassare lo sguardo, quello del bambino è un immenso spazio di libertà in cui gli occhi si volgono verso il più alto dei cieli, è pura armonia, nostalgia di un Eden perduto, via maestra per l’esperienza mistica.
Forse è proprio in queste zone remote della psiche che l'uomo deve cercare la chiave per comprendere finalmente che nessuna esortazione a spargere sangue (o anche solo a costringere altri esseri umani, o a violare la natura) potrà mai venire da una dimensione di assoluta trascendenza, unità, amore.

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