Oppio dei popoli?


Vi è una critica ovvia che viene mossa ai sistemi religiosi in genere: predicando il distacco dalle cose, la nonviolenza, la realizzazione in una dimensione che trascende quella materiale, essi sono funzionali allo stabile mantenimento di inique strutture di potere che sfruttano la maggioranza delle popolazione a vantaggio di pochi privilegiati. D'altra parte è anche vero che finché la mente è polarizzata dalle esigenze dell'io, dall'attenzione al contingente, dalla tensione della lotta per l'autoaffermazione, qualsiasi cammino spirituale è pressoché impossibile. Chi si rifiuta di passare al vaglio critico gli aspetti di malafede e scarsa trasparenza propri di tutte le religioni è uno sconfitto, ingannato due volte: come soggetto civile perché rinuncia ad affermare dei legittimi diritti e avvalla l'ingiustizia; come soggetto spirituale perché cade nella buca dell'appartenenza identitaria credendo di volare nel cielo dell'Assoluto. D'altra parte anche chi liquida la religione come oppio dei popoli è un perdente: spaventato dall'abisso che si estende sotto la superficie conscia della sua psiche è sinceramente convinto che il mondo finisca ai confini del suo orto; preferisce il rassicurante tepore un po' fetido dei pregiudizi alle poderose sferzate del vento nella burrascosa navigazione in un mare aperto e sconosciuto.
Nella ricerca della verità del tuo essere sei solo, desolatamente solo. Le strade già tracciate sono degne di essere conosciute e approfondite, ma finiscono a metà del cammino; ci vuole coraggio per proseguire laddove sono i tuoi stessi passi a tracciare il sentiero. Bisogna spalare via tonnellate di pregiudizio, essere disincantati al limite del cinismo e anche oltre; nessun principio di scienza o di santità è così sacro da non poter essere messo in discussione. Vi è un punto da cui puoi scorgere la relatività delle virtù sociali ma anche la futilità dell'indignazione, il ruolo della cultura nella declinazione dei nomi di Dio ma anche la zavorra dei principi che qualcun altro ha caricato sulle tue spalle.
È solo scendendo profondamente in te stesso, nel silenzio e nell'autoconoscenza, che puoi cogliere barlumi di quell'infinito che ogni giorno è davanti ai tuoi occhi non visto, celato da un velo di paura. È da quel non-luogo che vedrai le contraddizioni degli uomini e la complessa dinamica sociale libera da ogni carica emotiva: né buoni né cattivi, solo coscienze che faticosamente portano il peso del ruolo che il gruppo ha imposto loro fin da prima della loro nascita.
Un lavaggio doloroso da ripetersi costantemente, perché come acconsenti alle spinte della contingenza, quella visione che fino a un attimo prima era così limpida si intorbidisce e niente è più chiaro. E cosa ti aspetta alla conclusione di un tale cammino (se mai si potrà concludere)? Non so; ben prima di quel momento luminoso le parole sono terminate, anche le mie, viandante tra i viandanti, che non ho risposte ma solo posso indicare una direzione a chi domanda.

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