Scuola di obiettivi o scuola di senso?


Nella nostra società, pragmatica e per certi versi superficiale, senso e scopo tendono a identificarsi. Avere scopi, obiettivi, piani è la stessa cosa che trovare un senso nelle attività, e più in generale nella vita. La sosta, il silenzio, il puro esserci vengono dai più equiparati alla noia e temuti, quasi fossero una sorta di figura della morte. In realtà senso e scopo non coincidono affatto. La vita di un mistico non ha molti scopi, ma la profondità della sua contemplazione può arrivare fino a intuire la recondita armonia che è il senso dell'intero universo; nella sua autobiografia Romano Guardini scrive: "Parecchie volte, specie negli ultimi anni, ebbi la sensazione che la verità mi stesse dinanzi come un essere concreto". Di contro, io stesso ricordo che, nel periodo in cui lavoravo come sviluppatore di software, nonostante avessi una moltitudine obiettivi da realizzare, bruciavo di una continua insoddisfazione per non capire né intuire la radice della mia stessa vita.
La scuola è funzionale alla società e alla cultura dominante, per questo è fondamentalmente come una scuola di obiettivi. Agli studenti viene richiesto soprattutto di sviluppare determinate abilità (di calcolo, di traduzione, ecc.) e di assimilare una congrua dose di nozioni. Ben poco viene fatto per inquadrare questo bagaglio di conoscenze/competenze in un opportuno contesto di senso. Anche perché il fulcro intorno a cui ruota l'intera attività scolastica è la dinamica premio-punizione su cui si fonda il sistema valutativo. I giudizi sono formulati sulla base del raggiungimento di obiettivi non concordati, con una oggettività che riduce la complessità della persona (cioè il senso) alla somma delle parti, e in tal modo irrimediabilmente la perde. Lo studente è sempre passivo in tale processo, sia che questo si risolva negativamente con la sua esclusione che positivamente con la sua inclusione. Nella scuola degli obiettivi non è infrequente che creatività e autonomia siano fonte di problemi per chi le manifesta, mentre esuberanza e affermazione di sé lo sono sempre.
Eppure molti studenti si percepiscono nei confronti delle materie studiate come più centrati sul senso che sugli obiettivi. Di fatto, non manca nei giovani l'anelito verso una crescita autentica che vada ben oltre l'acquisizione di nozioni e abilità circoscritte: è sorprendente quello che hanno da dire, se solo uno si prende la briga di ascoltarli.
Gli obiettivi possono anche essere imposti dal di fuori, ma la ricerca del senso è un percorso che parte dall'individuo. Un percorso in cui l'individuo ha domande da porre, le cui risposte dovrebbero venire dalla scuola, se è in grado di darle. Ma dall'altro lato della cattedra difficilmente arrivano risposte, piuttosto altre domande, il più delle volte lontane anni luce da ciò che in quel momento è sentito come urgente e reale (è stato detto che la scuola è l'unico luogo in cui chi sa fa domande a chi non sa). Nella maggior parte dei luoghi della socializzazione (siano essi negozi, uffici, ambulatori o altro) le persone si recano con dei problemi che gli operatori cercano di risolvere; nella scuola sono coloro che hanno mansioni e responsabilità a creare problemi agli utenti, una non invidiabile caratteristica che il sistema scolastico condivide con quello giudiziario e con l'amministrazione militare.
Questo stato di cose - la scuola degli obiettivi, intendo dire - non è sentito da tutti come problema; anzi, per gran parte delle persone è giusto che sia così. Sono infatti in molti a pensare che questo sia, se non l'unico, quantomeno il migliore dei mondi possibili: studenti già condizionati e rassegnati, famiglie spaventate da una reale crescita in autonomia dei loro ragazzi, insegnanti che preferiscono difendersi dietro modalità didattiche stanche e inefficaci che li inaridiscono dal di dentro. Per questo motivo è utopistico pensare che possa esservi una qualche riforma in grado di rovesciare le prospettive. In questo come in tenti altri ambiti il cambiamento può solo arrivare dal basso, dai singoli. In maniera informale e silenziosa, se e quando si affermerà una nuova concezione dei rapporti sociali basata meno sull'utilità e più sulla persona, allora sarà automatico anche un diverso atteggiamento degli insegnanti nei confronti dei loro alunni, per il quale non sono necessarie particolari doti psicologiche o competenze specifiche, ma solo l'adozione di un differente punto di vista.

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