Scienziati e credenti: Dio e la nuova fisica


Sono in molti oggi quelli che, facendo riferimento ai modelli cosmologici derivati dalla teoria dell’inflazione, sostengono che il niente è dinamicamente instabile, per cui l’apparire dell’universo è una conseguenza necessaria delle leggi della meccanica quantistica. Non vi è quindi alcun bisogno di ipotizzare un principio creatore trascendente per giustificare l’esistenza della realtà.

Tali argomentazioni si basano sul principio di indeterminazione di Heisemberg, il quale  afferma che l'incertezza con cui si può stabilire l'energia di uno stato atomico è inversamente proporzionale al tempo di vita dello stato stesso. Tra le implicazioni più interessanti di tale principio vi è il fatto che una delle leggi fondamentali della fisica, la conservazione dell’energia, può anche essere violata purché tale violazione duri un tempo sufficientemente breve. Può così accadere che coppie di particelle appaiano letteralmente dal nulla per poi essere nuovamente inghiottite nel nulla poco dopo. Ma è possibile estendere questo meccanismo, che vale per le singole particelle elementari e in un tempo brevissimo, all’intero universo per un tempo virtualmente illimitato?
Per rispondere a questa domanda consideriamo due ipotetici universi all’inizio della loro vita: il primo è abbastanza grande affinché il processo di espansione, una volta iniziato, possa proseguire indefinitamente; il secondo invece non ha abbastanza energia per sostenere l’espansione e collassa quasi subito. Il principio di indeterminazione però garantisce anche a un universo del secondo tipo la possibilità di una violazione della conservazione dell’energia di entità tale da trovarsi in uno stato in cui l’espansione possa sostenersi. È lecito a questo punto domandarsi quanto può essere piccolo l’universo iniziale ed avere ancora una probabilità non trascurabile di saltare in uno stato in cui l’espansione è possibile. Bene, calcoli accurati (Alexander Vilenkin) rivelano un risultato sconcertante: anche mandando a zero le dimensioni iniziali dell’universo, la probabilità di violare la conservazione dell’energia quel tanto che basta per avere un’espansione sostenibile rimane finita. In altri termini, le equazioni prevedono che un intero universo possa sorgere letteralmente dal niente. Questa peculiare caratteristica prende il nome di nucleazione.

Gli argomenti a favore dell’autosufficienza ontologica della realtà materiale basati sui modelli cosmologici sono sicuramente accattivanti, ma soffrono di un fondamentale vizio epistemologico: essi estendono il raggio di azione della spiegazione scientifica al di là dei limiti che le sono propri (in maniera opposta ma logicamente equivalente a quanto fanno coloro che pretendono di utilizzare parti della bibbia per confutare teorie scientifiche come quella dell’evoluzione). Può non essere facile riconoscere l’intrinseca debolezza di questi argomenti poiché essi si situano in una zona d’ombra appena al di là dei confini della scienza. La fisica infatti, da Galileo in poi, è fatta di modelli che trovano la loro conferma nell’esperimento; per ogni tentativo di falsificazione non riuscito aumenta l’affidabilità del modello stesso. Nella cosmologia queste conferme sono sempre più indirette e meno stringenti quanto più ci si spinge lontano nello spazio e indietro nel tempo, fino ad arrivare a un livello in cui l’unica cosa che rimane è la coerenza logica (condizione necessaria ma non sufficiente per accettare una teoria). A tutti gli effetti ci si trova di fronte non più a una teoria scientifica ma a una opinione espressa in termini matematici. La nascita di un universo dal niente per fluttuazione quantistica è qualcosa che per sua stessa definizione non sarà mai osservabile; non appare più vincolante dell’ipotesi dell’atto volontario di un Dio creatore. Si potrebbe obiettare che l’argomento “scientifico” ha una maggiore plausibilità, ma la plausibilità riguarda più l’attitudine psicologica (ciò che meglio si adatta al mio sistema di valori, credenze, significati) che la necessità logica (ciò che segue deduttivamente da ipotesi ben verificate mediante l’esperimento). Il punto è che le leggi fisiche fanno riferimento a una realtà materiale che è comunque già stabilita, anche se “vuota” di materia. Il problema della creazione riguarda invece il passaggio dal non-essere all’essere, che si situa a un livello ontologico superiore. In questo senso, all’ateismo scientifico contemporaneo si può ben muovere la stessa obiezione che Kant nella Critica della Ragion Pura oppone alle prove cosmologiche dell’esistenza di Dio: non è lecito estendere un concetto (la causalità per Kant, la legge fisica nel nostro caso) oltre gli ambiti che gli sono propri.

Vi è poi un altro aspetto di debolezza nelle argomentazioni atee. L’intelligibilità razionale dell’universo è un prerequisito essenziale della spiegazione scientifica. Ma nella visione materialista la mente coincide con il cervello, cioè un sistema fisico. Abbiamo quindi una pericolosa situazione di circolarità logica in cui ciò che comprende (il prerequisito) è a sua volta parte di ciò che viene compreso. Con questo non si vuole affermare l’esistenza di una non ben definita sostanza spirituale di cui sarebbero composte le anime, ma solo che vi sono elementi di autentica realtà che eccedono le possibilità di spiegazione dei modelli scientifici. Che la scienza abbia dei limiti è un punto su cui tutti concordano, le divergenze nascono quando si prova a gettare lo sguardo oltre questi limiti. Per l’ateismo scientifico ciò che non è riconducibile alle leggi della fisica semplicemente non esiste, è frutto di illusione ed errore; nelle visioni alternative al materialismo vi è invece un’eccedenza della realtà rispetto alle possibilità della spiegazione scientifica.

Quale conclusione possiamo dunque trarre da queste riflessioni? Che vi è una completa simmetria riguardo all’utilizzo improprio degli argomenti scientifici in teologia: come il Big Bang non può essere considerato una conferma di quanto narrato nel libro della Genesi, così il modello della nucleazione di Vilenkin non è una prova del fatto che Dio non esiste. Ma allora, che cosa rimane alla fine? Una realtà che la scienza è in grado di spiegare in tutti i suoi aspetti parziali e contingenti, ma la cui esistenza rimane il più grande dei misteri. È lecito decidere di continuare a navigare sempre in questo lago (dopotutto, i mille problemi della quotidianità bastano e avanzano per riempire più di una vita), ma chi vuole spingere lo sguardo e le vele al di là delle Colonne d’Ercole sappia che deve essere pronto a qualsiasi cosa.





2 commenti:

antonella ha detto...

e noi continuiamo a navigare, non ne possiamo fare a meno :)

lamberto tosi ha detto...

Grazie per la spiegazione chiara e equilibrata; ho da poco finito di leggere dal big. bang ai buchi neri ma non mi era molto chiaro dove l'autore andasse a parare.
Lamberto Tosi