Meditazione e felicità


Mathieu Ricard è un monaco buddista che è stato definito "l'uomo più felice del mondo". Tale definizione è dovuta al fatto che Ricard si sottopose volontariamente nel 2007 a una serie di test neurologici compiuti dai ricercatori dell'università del Wisconsin risultando avere dei valori eccezionalmente alti per i parametri usualmente associati allo stato di felicità e beatitudine. La notizia, rimbalzata sui media di tutto il mondo, contribuì a rafforzare nell'immaginario collettivo l'idea della meditazione come di una tecnica per ottenere la felicità.
Con buona pace di tutte quelle persone che si avvicinano alla pratica meditativa alla ricerca di un sollievo dalle angosce esistenziali, ritengo che questa idea sia una semplificazione fondamentalmente scorretta. Indubbiamente alcune delle dinamiche cerebrali più rigide (nevrosi) o caotiche (psicosi) possono essere contrastate con successo applicando le tecniche meditative delle varie tradizioni, ma ognuno di noi nel profondo sa che la felicità o l'infelicità è questione che riguarda l'essenza della propria persona mentre una tecnica influenza solo aspetti più superficiali. Sarebbe bello che esistesse una ricetta per la felicità fatta di prescrizioni, mantra, dieta, esercizi, ecc., ma non è così.
L'immagine che della meditazione hanno coloro che verso di essa nutrono solo un interesse culturale senza avere di fatto mai intrapreso un cammino spirituale è per molti versi distorta. Non è vero che la meditazione dà una serenità ebete, un distacco incondizionato dal mondo. Pensare di smettere di soffrire meditando è confondere la meditazione con l'autoipnosi. Il dolore resta nella sua essenza, ed è un dolore su tre piani. Dolore in se stessi nel rendersi conto della propria inadeguatezza e delle pesanti catene che ci legano alle passioni; dolore negli altri per la difficoltà, le incomprensioni, e ancora l'inadeguatezza delle relazioni umane e la loro superficialità; dolore nel cosmo per la presa di coscienza del fatto che tutto è limitato ed effimero, che niente è per sempre e che tutto quello di cui possiamo avere esperienza è destinato immancabilmente alla corruzione e al nulla. La meditazione non dà la gioia, permette però di elevarsi al di sopra di gioia e dolore e guardare queste due categorie nella luce della contingenza dell'esperienza umana. Ma sia ben chiaro il prezzo da pagare: distruggendo il dolore anche la gioia si dissolve.

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